Stiamo abbastanza bene - Francesco Spiedo
- Emanuela Colombo
- 30 gen 2021
- Tempo di lettura: 4 min

Casa editrice: Fandango Libri Anno di pubblicazione: 2020 Dove acquistarlo: Nella tua libreria fisica di fiducia. Se non ce l'hai, dai uno sguardo qui!
«Sono venuto per soffrire, chiaro o no?»
Francesco lo conosco da tempo ed era impensabile che non leggessi il suo primo libro.
Così, approfittando dell’ennesimo lockdown, l’ho ordinato, mi è arrivato a casa e con calma ho preso del tempo da dedicargli.
Il protagonista è un venticinquenne napoletano, Andrea, figlio di un professore e una sarta, scappato a Milano più per ritrovare se stesso che per trovare una nuova vita.
La storia si srotola in quattro mesi attorno a dei personaggi un po’ sopra le righe – il portiere che gli ricorda Lello Arena, lo zio Tony (che no, non è lo zio d’America, ma un napoletano pentito; pentito di essere napoletano, mica di altro!), un uomo di nome Soletti, Clara la cameriera, l’amico di infanzia Enrico, Jacopo, il fantasma di Luisa – che spingono Andrea in un tourbillon di avvenimenti e scoperte, veloce come solo Milano sa essere. Ma se poi ti dico tutta la trama, che senso ha?
Le variabili come visto sono parecchie, le costanti sono due: Andrea accompagnato dalla sua solitudine fatta di numeri e Napoli, che c’è sempre anche quando non la si vede. E sì, ho usato dei termini matematici appositamente: Andrea è laureato in matematica e da sempre contare lo ha aiutato a gestire lo stress, a tenere tutto sotto controllo.
«Scappare di nuovo. 15 lettere. Carriera universitaria. 21 lettere»
«Don Enzo sono sempre 7 lettere proprio come signora, abbastanza è 10 lettere proprio come una signora. Abbastanza grave fanno 15 come mannaggia ‘a morte»
I numeri sottolineano l'ansia che prova ad ogni piccola situazione che sfugge dal suo controllo ed evidenzia ancora di più il volersi ancorare a cose esatte, invece di sguazzare nella non esattezza dei sentimenti. Che sono proprio quelli che lo hanno portato alla deriva.
La seconda costante, come dicevo, è Napoli. Imponente tanto da essere, a mio parere, uno dei personaggi del racconto. Perché è lì anche quando si parla di Milano, è lì con i riferimenti culturali, è lì con il gergo usato spesso dal protagonista, quando un concetto non potrebbe essere espresso in modo diverso – io da campana lo so, certe frasi o le dici in dialetto o non le dici proprio. Questa ultima cosa, insieme allo stile narrativo, mi ha ricordato molto Lorenzo Marone, dovrò chiedere a Francesco se è stato un suo punto di riferimento o meno.
E naturalmente, da buon sangiorgese (Francesco Spiedo è cresciuto a San Giorgio a Cremano), non può non utilizzare Napoli per omaggiare il suo Troisi, con citazioni extra ed intra testo, velate e non.
Ma la cosa che più caratterizza la costante-Napoli è l’appocundria. Che ti chiederai, giustamente, cos’è? Nostra Signora Treccani mi viene in aiuto:
appocundria, interfaccia dialettale dell'italiano ipocondria, nel senso semanticamente vago di 'profonda malinconia', che tanto sembra addirsi (come hanno scritto Patricia Bianchi e Nicola De Biasi nel 2007, in Totò, parole di attore e di poeta) alla condizione della «napoletanità»
Non potevi dire “malinconia”, dirai. No, non potevo.
Perché l’appocundria è una saudade napoletana che ti viene anche a soli due metri da casa.
C’è un passaggio che lo esprime molto bene:
«Ho nostalgia di casa e della sveglia con il caffè già fatto e pronto. Ho nostalgia di tutto – pure di quelle cose alle quali non ho fatto mai caso. Adesso mi ricordo i nomi del salumiere e del verduraio, il colore del pelo del cane affacciato sempre al quinto piano del palazzo ad angolo con la piazza. Ho nostalgia persino del parcheggiatore abusivo fuori la chiesa perché nel nostro riconoscerci a vicenda ero sicuro di esistere. Invece sono qua e chi mi assicura che non sia tutto finto?»
Non mancano alcuni luoghi comuni del napoletano al Nord, ma questa volta servono al testo come motore per far scattare delle consapevolezze che porteranno alla chiusura del romanzo. Necessariamente #spoileralert, dunque se non vuoi, come sempre vai direttamente sotto la seconda GIF!
Quante probabilità ci sono che un ragazzo che arriva da Napoli senza arte né parte finisca a fare lo spacciatore nella ricca Milano? Poche, ma nonostante tutto non scatta la banalità della scelta. Perché Andrea è l’incrocio fortunato. «Spaccio perché sono un napoletano e sono a Milano. Non potrei farlo in nessun’altra combinazione, sono l’incrocio fortunato. Se fossi un milanese a Napoli mi spezzerebbero le dita dopo mezz’ora, per essere un napoletano a Napoli sono troppo un bravo ragazzo, come milanese a Milano sarei troppo simile ai disperati di via Gorla. Un napoletano a Milano è la formula esatta per quest’atmosfera rilassata e discreta.» La scelta regge perché è la molla che fa scattare poi l’evoluzione del personaggio. Andrea, che è sempre stato trascinato dagli eventi, anche in questo caso di trova in situazioni che non gli appartengono, ma che gli servono per recuperare l’adrenalina e un po’ di sapore di vita. Ma soprattutto gli serviranno per recuperare la sua capacità di scelta. Quando finalmente Andrea sceglie di non spacciare, quando finalmente sceglie di non far attaccare troppo Clara, quando finalmente sceglie di ascoltare Luisa, ecco che il cerchio si chiude. Ecco che dalla sofferenza si passa allo stare “abbastanza bene”.
Stiamo abbastanza bene è un’opera che racchiude un po’ una generazione – la mia generazione – che si aspettava troppo dalla vita e invece deve fare i conti con molto altro.
Noi, eterni Emma Bovary, alla ricerca di quella felicità che tanto sognavamo nella vita, fatta di casette di Mulino Bianco ed una vita avviata a 30 anni.
E invece no, a 30 anni lottiamo ancora per trovarla questa felicità, che è diversa dalla serenità, perché «La serenità, la puoi trovare sempre nello stesso posto, la felicità no, si sposta, è ballerina, devi inseguirla, devi cercarla».
E per questo si fugge, più da noi stessi impantanati in una stasi - che sia personale, sentimentale, lavorativa -, che da altro. Come ha fatto Andrea.
Però, come sempre, chi parte sa da cosa fugge ma non sa che cosa cerca.
Forse questo stare abbastanza bene? Ma poi… conosci a Lello, tu?
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