La crepa - Claudia Piñeiro
- Emanuela Colombo
- 12 apr 2021
- Tempo di lettura: 4 min

Casa editrice: Feltrinelli
Anno di pubblicazione: 2013
Titolo originale: Las grietas de Jara
Dove acquistarlo: Nella tua libreria fisica di fiducia. Se non ce l'hai, dai uno sguardo qui!
«Due centimetri bastano, architetto?». Pablo non capiva. «Due centimetri e ventotto, per essere precisi» aveva insistito Jara. «Lei poco fa mi ha chiesto la larghezza della mia crepa e non ho saputo cosa dirle. Mi ha colto impreparato, architetto, ma ora lo so, mi sono permesso di usare il suo telefono, mentre lei era in bagno, per chiamare il portinaio e gli ho chiesto di misurarla. Le bastano due centimetri e ventotto, architetto?»
La crepa è un libro che ti lascia interdetto per una miriade di motivi. A volte per la noia, a volte per un colpo di scena ben scritto, altre volte per delle cose assolutamente evitabili.
La trama?
Pablo Simó è un architetto dello studio Borla&Associati, nella bella Buenos Aires. La sua vita è maledettamente ordinaria, la sua famiglia ordinaria, il suo lavoro è ordinario. Come tutti gli uomini ordinari, ha un grande sogno nel cassetto, forse consapevolmente irraggiungibile: realizzare l'edificio che da anni abbozza su un foglio di carta, di ben undici piani. D'un tratto qualcosa succede in una mattina che sembrava ordinaria e gli equilibri cominciano a vacillare. È bastata una frase («Qualcuno di voi sa qualcosa di Nelson Jara?») per far riemergere a galla segreti che non si volevano ricordare.
Dal momento che è considerato un thriller, direi che ti ho dato sufficienti nozioni sulle vicende per accattivarti.
Ed ora la mia opinione.
Dunque, voglio partire dal titolo. In originale, come ti ho scritto all'inizio, sarebbe "Le crepe di Jara", che ci sta per motivi che NON POSSO SPOILERARVI. Sappi solo che ci sta. In italiano è stato reso con "La crepa". Col senno di poi rendere al singolare questa parola non è stato affatto malvagio, perché racchiude varie sfaccettature della parola. Non è solo letterale, ma è una spaccatura che si fa largo in molti campi della vita del protagonista: una crepa familiare, una crepa lavorativa, una crepa personale.
Su quest'ultimo punto lavora tanto il libro ed è forse l'unica cosa che trovo in comune con la frase scritta da Antonio D'Orrico sul Corriere della Sera ("Hitchcock è donna e vive a Buenos Aires").
Questo segreto che Pablo si porta sul groppone e che aveva accuratamente sotterrato nei meandri della memoria, d'improvviso esplode con l'incontro casuale di Leonor - la ragazza dalla frase magica - che gli permette di riflettere molto sulla sua esistenza. Cosa succede quando si perde noi stessi? Quando non sappiamo rispondere nemmeno alla più semplice delle domande?
«È strano, non dirmi che non lo è. Io pensavo che ti avrei chiamato e tu mi avresti recitato a memoria cinque, dieci, addirittura quindici edifici presi dall'elenco che un po' tutti abbiamo in testa riguardo alle cose che preferiamo» «Tutti abbiamo in testa un elenco delle cose che preferiamo?» «Sì, perché, tu no?» «E nel tuo elenco cosa c'è?» [...] «Al primo posto: il cioccolato. Secondo posto: camminare senza ombrello sotto una pioggia fine ma persistente, di quelle che quando arrivano in faccia fanno male. [...] Il terzo lo saltiamo, e al quarto...»
Pablo queste cose non le ha. Non si è mai più soffermato su cosa gli piace o meno da quando era giovane e questo lo turba, ma gli dona anche la forza di reagire al muro di cemento che si è costruito intorno, insieme al quaderno che ha tra le mani tornando a casa un giorno in metropolitana.
Sì, è arrivato il momento: skippa alla seconda GIF se non vuoi rovinarvi tutto!
Quando Leonor dà a Pablo il quaderno in cui Nelson Jara aveva segnato tutto sulla sua vita - una cosa a tratti inquietante, ma che grazie a Dio dà un po' di brio a questa narrazione - mi sono posta la seguente domanda: c'è sempre bisogno di qualcuno esterno per conoscerci davvero? Perché sappiamo sempre così poco di noi? Le parole che Pablo aggiunge alla sua scarna descrizione su quelle righe consunte, sono la parte più alta del libro, secondo me. Il momento dell'illuminazione, quello che dà la chiava al personaggio per crescere. Scrive Pablo: Pablo Simó è un architetto frustato, che nonostante abbia ben poco da perdere ha paura di cambiare le situazioni nelle quali si è insediato: il lavoro, il matrimonio, la sua vita senza musica né amici, neppure una squadra di calcio per cui tifare la domenica, niente amanti e niente amore. Sa ben poche cose di se stesso: ha una figlia che adora, ha sepolto un uomo sotto il lastricato di un edificio, vorrebbe costruire un palazzo di undici piani rivolto a nord, ma teme che non riuscirà mai a realizzare il suo progetto, e fino a oggi è stato dalla parte dove non dovrebbe stare.
BOOM! Applausi per Pablo! E quindi via a cambiar vita, ciao ciao alla moglie, al lavoro, alla casa, a tutto.
Peccato che gli sia venuto in mente al 17° capitolo su un libro di 21 capitoli.
E dunque, dicevo.
Credevo di trovare un po' di avventura. Invece il mistero è accantonato dalle pippe mentali di un uomo stanco della sua vita, che ha un colpo di genio al 17° capitolo e rovina tutto al 21° ed ultimo. Come son rimasta male per l'ultimo capitolo - o sarebbe meglio dire le ultime due pagine, dato che da queste è composto - non puoi avere idea. A meno che non lo leggi e capisci cosa intendo dire. Il finale più stupido della storia.
Lo stile narrativo non è affatto male, perché è come se il protagonista avesse un uomo che lo spia col cannocchiale 24h no stop, il che mette un po' di sana ansia da thriller ...ma è lento! Caro lettore, credimi, fino alla metà del libro vorresti solo addormentarti e svegliarti una volta finito.
La crepa è un libro che molti hanno osannato, ma a quanto pare io vado sempre controcorrente. Se hai voglia di un romanzo veloce (credo che max in 4-5 giorni lo si finisce tranquillamente), leggilo e poi corri qui a parlarmene.
Ti aspetto!
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